Ho iniziato a leggere il libro “Stoner” di  John Edward Williams con una grande curiosità che presto si è trasformata in ammirazione. “Stoner” è per me un bellissimo e commovente libro. Se c’è una curiosità, questa sta nel fatto che il libro fu pubblicato per la prima volta nel 1965 e poi quasi incredibilmente dimenticato. Ripubblicato nel 2006 dalla New York Review Books, suscitò un sempre maggiore interesse da parte della critica e dei lettori. Fazi editore lo ha portato in Italia e  “Stoner” ha ottenuto il meritato successo.  La storia è tutto sommato semplice:  William Stoner è figlio di contadini, lascia il lavoro massacrante dei campi per l’università, ama gli studi letterari, diventa docente, si innamora, si sposa, ha una figlia e poi, diciamo, affronta diverse vicissitudini.

Ecco il libro è, nella sua semplicità, emozionante, toccante, coinvolgente, dove una vita “normale” diventa epica e ci fa innamorare di William Stoner , della sua semplicità, del suo modo di affrontare la vita e le sue contraddizioni, della sua capacità di trovare sempre la forza per guardare avanti e vivere una vita non sempre benigna nei suoi confronti.

Stoner si considera un “mediocre” docente ma in realtà è un “grande” docente della sua vita: “Non si dovrebbe chiedere a un uomo di lettere di distruggere ciò che ha passato la vita a costruire”. O ancora “sentiva che finalmente cominciava ad essere un insegnante, ovvero un uomo che semplicemente dice quel che sa, traendo dalla sua professione una dignità che ha poco a che fare con la follia, o la debolezza, o l’inadeguatezza dei suoi comportamenti privati”.

Anche l’amore, un senso diverso dell’amore, talvolta il senso vero,  era un aspetto fondamentale della sua vita: “a quarantatré anni compiuti, William Stoner apprese ciò che altri, ben più giovani di lui, avevano imparato prima, che la persona che amiamo da subito non è quella che amiamo per davvero e che l’amore non è una fine ma un processo attraverso il quale una persona tenta di conoscerne un’altra”.  Ma  bella  e vera risulta pure la frase dove cita alcuni  ex amori della sua vita: “non è Edith e, nemmeno Grace, o la certezza di perdere Grace, che mi trattiene qui. Non è la paura dello scandalo o di quello che potremmo soffrire, tu e io. Non sono le difficoltà che dovremmo attraversare e nemmeno l’eventuale perdita di ogni affetto. E’ la paura di distruggere noi stessi e tutto quello che facciamo”.

Il libro è scritto con un linguaggio di incredibile qualità e semplicità che trasuda amore, sofferenza e potenza emotiva, come ad esempio nelle ultime bellissime righe finali dove sul letto di morte William Stoner guarda fuori il giardino illuminato dal sole e vede un gruppo di studenti che attraversa il prato “Camminavano leggeri sull’erba, quasi senza toccarla, senza lasciare tracce del loro passaggio”.

Questo libro ha invece lasciato una traccia profonda dentro di me, colpendomi il cuore con la sua  umanità e profonda  commovente sensibilità. 

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Ultimo aggiornamento ( Martedì 01 Aprile 2014 20:58 )