Uscito su Terra Nordest il 1 giugno 2010

1. Antonio Rusconi, docente di assetto idrogeologico all’Università IUAV di Venezia, esce in questi giorni con un nuovo volume dedicato all’acqua, ce lo vuoi presentare?

 Il libro ha per titolo: “Acque e assetto idrogeologico” ed è edito dalla Casa Editrice DEI di Roma. Si tratta in sostanza di un manuale per la progettazione e comprensione dei piani di bacino finalizzati alla gestione delle acque ed alla difesa del suolo. Questo tema, nel nostro Paese, risulta molto complesso per il fatto che il recepimento delle Direttive comunitarie sulle acque (2000) e sulle alluvioni (2007) si sono dovute correlare con il preesistente quadro normativo nazionale, venutosi a creare negli ultimi decenni, successivamente all’emanazione della famosa legge n. 183 del 1089 sulla difesa del suolo.

Il libro è suddiviso in quattro parti ed inizia con la descrizione dell’articolato insieme di leggi e norme riferite ai bacini idrografici, di cui è costituito il territorio, aggregati tra loro  nei Distretti idrografici, del ruolo delle Autorità di Bacino, oggi diventate Autorità distrettuali, e dei piani di bacino, comprendenti i piani di gestione delle acque ed i piani di valutazione e gestione del rischio di alluvioni.
La seconda parte del libro tratta argomenti tecnici di base e comprende i concetti di base dell’idrologia con alcuni riferimenti all’idraulica fluviale alle frane ed alla geomorfologia fluviale e costiera. Quindi viene analizzato il rischio idrogeologico, costituito dal rischio di frane e valanghe e dal rischio di alluvioni. Il problema oggi non è tanto quello di programmare, attraverso i piani stralcio di assetto idrogeologico (PAI) e i piani di gestione del rischio di alluvioni gli interventi necessari per la mitigazione del rischio, ma preventivamente quello di perimetrare le aree a rischio, attribuendo loro un diverso grado di rischio ed introducendo una severa regolamentazione del consumo di tale territorio, limitando la pressione antropica disordinata e noncurante delle diverse situazioni di pericolosità idrogeologica.     
L’ultima parte tratta delle risorse idriche, sia sotto il profilo tecnico che normativo. Il concetto del bilancio idrico alla scala del bacino idrografico è fondamentale per valutare la disponibilità delle risorse idriche in relazione ai maggiori fabbisogni per l’utilizzo civile, agricolo, industriale e paesaggistico. Il ripetersi di annate molto siccitose (fortunatamente cessate da un paio d’anni) hanno evidenziato la grave situazione di carenza idrica del nostro Paese anche in quei bacini idrografici tradizionalmente ricchi d’acqua (bacino del Po, bacini triveneti, ecc.), con conseguente peggioramento dello stato quantitativo e chimico delle riserve idriche sotterranee, nonché peggioramento dello stato ecologico dei corpi idrici superficiali.  


2. Parli dunque degli usi molteplici dell’acqua (irrigazione, idroelettrico …) rimane per te un bene comune da gestire in modo trasparente?

 Nel libro viene evidenziato il grave ritardo del nostro Paese nel riorganizzare tutta questa materia. Il vigente Codice dell’Ambiente (D.lgs n. 152/2006), nella parte terza, relativa alla difesa del suolo ed alla tutela quali-quantitativa delle acque, ha recepito la Direttiva 2000/60/CE che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, ma è sostanzialmente fermo da diversi anni, con gravissime conseguenze in merito alla sua attuazione. Non sono state ancora istituite le nuove Autorità Distrettuali, mentre le vecchie Autorità di Bacino sono state costrette a “sopravvivere” in una imbarazzante situazione di inaccettabile debolezza istituzionale: tra l’altro alcune di esse, tra cui quella del Po, dell’Adige e dell’Alto Adriatico non hanno nemmeno il Segretario Generale. Questa situazione si dilunga ormai da diversi anni e la risposta del Paese alle ricorrenti tragiche situazioni emergenziali, consiste, come al solito, esclusivamente ricorrendo al sistema “straordinario” della Protezione Civile, con i pregi ed i difetti che tutti conosciamo.     
Nel libro si parla certamente degli usi molteplici dell’acqua, dell’estrema artificializzazione dei fiumi attuata nei decenni passati. Viene rimarcato il concetto della variabilità idrologica, e quindi della necessità di trasportare nel tempo (serbatoi) e nello spazio (condotte) le risorse idriche, assicurando che comunque ai fiumi venga assicurato un deflusso minimo “vitale”. La creazione di questi sistemi idraulici territoriali ha un forte impatto ambientale e dei costi di mantenimento che vanno attentamente conosciuti e valutati quando apriamo il rubinetto di casa per farci una doccia, o quando mangiamo una fragola prodotta in regioni dove le fragole non sono mai cresciute naturalmente.  
Lo stress dei sistemi idrici oggi è spesso al limite e questo aspetto si evidenzia non appena la piovosità scende al di sotto delle medie anche in quei bacini idrografici ad elevata precipitazione media annua (Po, Piave, Tagliamento, ecc.). Si evidenza perciò la necessità di nuove strategie, di nuove politiche e di sostanziali riforme, indispensabili anche in previsione di diminuzioni della piovosità del 20/30% in conseguenza dei cambiamenti climatici.       


3. Hai alcuni esempi da fare su un uso buono e virtuoso da parte del pubblico dell'acqua anche alla luce del dibattito acceso dalla raccolta di firme per i Referendum ?

L’avvio della campagna referendaria per la gestione pubblica del servizio idrico, promossa dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua ha dato l’avvio ad un fondamentale dibattito che, si spera, possa spingere il Governo a ripensare su alcune recenti scelte di fondo. Infatti sia il Decreto “Rochi” (convertito nella legge n.166/2009) sulla privatizzazione dell’acqua, sia la legge n. 42/2010 che ha soppresso gli ATO, sono iniziative che vanno a modificare la richiamata parte terza del Codice dell’Ambiente, stravolgendo ulteriormente il quadro istituzionale preesistente in materia di acqua.  
Un aspetto positivo da sottolineare riguarda invece la recente adozione (febbraio 2010), da parte dei Comitati Istituzionali delle Autorità di Bacino, dei piani di gestione distrettuali, previsti dalla Direttiva 2000/60 e dal Codice dell’Ambiente. Anche se i lavori sono stati  svolti in pochi mesi, con  tempi troppo ristretti rispetto alle necessità, soprattutto per le parti relative alla consultazione/concertazione ed alla valutazione ambientale strategica, oggi possiamo dire che il nostro Paese dispone di un primo fondamentale strumento di pianificazione delle acque secondo i criteri dettati dalla Comunità Europea. Si tratta per la verità di documenti incompleti e parziali, ma che però costituiscono comunque fondamentali punti di partenza per la gestione delle acque e per l’attuazione delle azioni finalizzate alla scadenza del 2015, entro cui le acque dovranno essere di buona qualità e le disponibilità di risorse idriche  sufficienti per i fabbisogni delle generazioni future.
E’ l’occasione questa però per sottolineare che gli estensori delle nuove leggi relative all’acqua, che periodicamente vengono introdotte trasversalmente al vigente precario quadro normativo, dovrebbero prima di tutto dimostrare di tener conto degli importanti aspetti conoscitivi e programmatici di questi importanti piani di gestione, ancorché incompleti e affrettati.    


4. La Regione Veneto ha appena pubblicato il nuovo Piano Tutela Acque (PTA) cosa ne pensi ?

Il PTA è un piano stralcio di bacino, redatto dalle Regioni sugli indirizzi delle Autorità di Bacino, previsto dal vecchio quadro normativo, ed oggi confermato dalla ricordata parte terza del vigente Codice dell’Ambiente. In analogia ad altre Regioni, anche il Veneto ha portato a termine questo piano, dopo un lungo ed articolato percorso che ha costretto il piano a mediare su molte questioni ed interessi contrapposti. Quali effetti sortiranno da questo piani lo vedremo nei prossimi anni, e vedremo se le ricordate scadenze previste di raggiungimento di buon stato quali-quantitativo delle acque saranno rispettate.
Va ricordato che i ricordati piani di gestione distrettuali, recentemente adottati, sono formati proprio dall’insieme dei piani di tutela delle diverse Regioni che compongono i bacini e di distretti idrografici. Questo comporta che gli obiettivi dei PTA si possono perseguire solamente grazie ad una gestione complessiva dell’intero bacino idrografico. Faccio l’esempio dell’Adige: sia la difesa delle piene sia la disponibilità idrica del suo bacino idrografico si possono perseguire mettendo d’accordo sia gli interessi del Trentino Alto Adige che quelli del Veneto: voglio dire così che, parlando di acqua, non può esistere il “federalismo” idraulico. 


5. Da ex Segretario Generale dell'Autorità di Bacino Alto Adriatico una domanda è d'obbligo: il Triveneto è ancora fortemente  a rischio idrogeologico ?

Deve essere chiaro che, se oggi si ripetessero le precipitazioni dei primi giorni del novembre 1966, per intensità, durata ed estensione, per il territorio del Nord-Est sarebbe una catastrofe ben superiore a quella di 45 anni fa.
In montagna il territorio è oggi molto più fragile, sia dal punto di vista forestale che da quello agrario, sia per la sua faticosa manutenzione, sia per l’elevato grado di antropizzazione, spesso attuata senza alcun criterio di tutela idrogeologica. Le perimetrazioni delle aree a pericolo di frane e di allagamenti, fatte dalle Autorità di Bacino in occasione della redazione dei piani di assetto idrogeologico (PAI) e le relative misure di salvaguardia rappresentano, per molte Amministrazioni locali, solamente degli insopportabili vincoli introdotti da “quelli di Venezia e di Roma” per rompere le scatole. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, al primo temporale intenso che colpisce le nostre montagne.
Per quanto riguarda la pianura, i grandi interventi strutturali indispensabili per la mitigazione del rischio idraulico dei fiumi veneti (Piave, Tagliamento, Brenta, Livenza ecc.) non sono stati realizzati, mentre i vettori fluviali sono stati ristretti, con maggiore difficoltà di drenaggio delle acque, con occupazione delle aree di pertinenza fluviale. Le piene si propagano con maggiore intensità rispetto al passato ed il rischio di rotte fluviali è notevolmente aumentato.
L’errore sta nella testa: l’aspetto più grave è che, tranne piccoli interventi localizzati, attuati spesso a seguito di eventi calamitosi, ed assolutamente ininfluenti a scala di bacino idrografico, non sono state ancora prese le decisioni “importanti” sul cosa fare per la mitigazione del rischio. Non sono stati ancora approvati i piani di bacino finalizzati alla sicurezza idrogeologica, mentre i pochi piani adottati ed approvati non vengono attuati.    
La recente introduzione della buona pratica dell’”invarianza idraulica” da parte di molte Amministrazioni regionali, oggi indispensabile per ogni progetto di urbanizzazione produce i suoi benefici effetti alla scala delle reti di fognatura e di bonifica, ma non può essere risolutiva per risolvere i problemi idraulici dei grandi fiumi sovraregionali.  


6. In questo numero di Terra parliamo del Tagliamento, il WWF è contro le casse di espansione, cosa ne pensi ?

Il piano stralcio di bacino per la difesa idraulica del medio e basso corso Tagliamento è stato il primo piano approvato nel Nord-Est: la sua adozione risale al 1997 ed oggi costituisce norma dello Stato. Le molteplici soluzioni strutturali scelte dal piano consistono in un insieme di interventi da attuarsi sia in Veneto e sia in Friuli Venezia Giulia. La scelta delle opere fu il risultato di una difficile azione mediatrice svolta dall’Autorità di Bacino con le due Regioni. Le casse di espansione da realizzarsi a sud della stretta di Pinzano a suo tempo furono la migliore soluzione individuata tra le diverse allo studio da decenni e, soprattutto, in alternativa alla costruzione di una sbarramento a Pinzano, intervento indicato dalla nota Commissione “De Marchi”.
La proposta alternativa, formulata alcuni anni fa dal WWF è stata analizzata con grande interesse ed attenzione dalla stessa Autorità di Bacino e dalla Regione Friuli Venezia Giulia, ma è stata ritenuta peggiorativa rispetto agli interventi proposti dal Piano: peggiorativa dal punto di vista dell’impatto ambientale, dal punto di vista dell’efficacia idraulica e morfologica del fiume, e da quello dei costi di costruzione e di gestione.
La concreta proposta dell’Autorità di Bacino fu allora quella, utilizzando i finanziamenti disponibili, di avviare la realizzazione solamente della prima delle tre casse previste, per valutare la risposta del sistema fluviale a quell’intervento e quindi di rinviare ad una fase successiva la decisione della realizzazione delle altre due casse. Ma ciò non ha finora avuto esito.
Si deve riconoscere che quel piano fu redatto ed approvato in un’altra epoca, senza l’avvio del processo di partecipazione pubblica e senza la valutazione ambientale strategica. Oggi sarebbe impensabile un percorso di tal genere. Certamente oggi si potrebbe rifare il piano, ma dovrebbero emergere le motivazioni di non attuabilità del piano vigente, e soprattutto trascorrerebbe ottimisticamente un altro quinquennio: nel frattempo però dal bacino idrografico, in ogni istante, potrebbe scendere una piena di oltre 5000 metri cubi al secondo, come accadde nel 1966, con i drammatici noti effetti nel tratto di pianura (Latisana, S.Michele, ec.). Quando ciò si verificherà, con chi dovremo prendercela?