Intervento uscito su TERRA NORDEST del 23 febbraio 2011

Sembra un paradosso, me non è così. La via d’acqua più conosciuta al mondo, il Canal Grande, non è più del Comune di Venezia ma è ritornata proprietà dello Stato. Un federalismo alla rovescia che ha come protagonista il Ministro per la semplificazione normativa della Lega nord Roberto Calderoli. Con un semplice atto che risale al 15 dicembre scorso, l’abolizione del decreto regio 523 del 1904, il ministro ha di fatto restituito allo Stato la gestione del Canal Grande che il decreto regio conferiva invece ai cittadini veneziani e al suo Comune.

Così il Comune di Venezia rischia di non aver più potere decisionale sulla sua più conosciuta e importante arteria d’acqua. Un Canal Grande che va gestito sempre con grande attenzione non solo in occasione di eventi storici culturali legati alla città come la regata storica ma pure quando si trasforma quotidianamente nella via principale d’acqua cittadina, oberata dal traffico dei natanti di varie funzioni e stazze, e pertanto costantemente sottoposta a  un severo controllo municipale. Sarà lo Stato il nuovo controllore ? I veneziani non la pensano assolutamente così. Nemmeno il ministro Calderoli che cerca, senza riuscirci, di calmare le acque sostenendo che il regio decreto 523 del 1904 ha natura giuridica di Testo unico e quindi come tale è espressamente escluso da abrogazione ai sensi dell’art. 14 comma 17 della  legge 246 del 2005. Il Comune di Venezia la pensa differentemente e pure alcuni deputati veneziani del PD che in merito hanno presentato un emendamento riparatore agganciandolo al decreto Milleproroghe in discussione in questi giorni. Primo firmatario il deputato Andrea Martella che confida, constatato che il suo emendamento è stato considerato ammissibile dalla presidenza della camera, in un iter favorevole con relativa approvazione affinché i veneziani non vengano “scippati” del loro famoso Canale. Sullo sfondo rimane una vicenda irrazionale che potrebbe, se non subito chiarita con atti giuridici precisi, aprire contenziosi a non finire lungo il Canal Grande in quanto ogni atto o regolamento promulgato potrebbe essere impugnato da chicchessia vista l’incertezza istituzionale su chi “comanda”le acque del “Canalazzo”.