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Lotta al moto ondoso: le occasioni mancate

 Uscito sul n. 3-2008 della rivista Verde Ambiente - Speciale nord-est

La storia dei tentativi di regolamentare il traffico acqueo e il moto ondoso, è ricca di occasioni mancate.
Nel 1963 veniva approvato dal Consiglio Comunale il nuovo regolamento comunale per la circolazione dei natanti a remi e a propulsione meccanica nel Canal Grande e canali interni della città1, in attuazione dell’art. 517 del codice della navigazione del 1952 che sanciva le competenze dei comuni nei canali e rivi di traffico esclusivamente urbano. Così l’amministrazione iniziava ad affrontare le problematiche della navigazione a motore, anche se limitatamente ad alcune caratteristiche tecniche non direttamente influenti sul moto ondoso in sé, quanto invece più intese alla salvaguardia della quiete pubblica dal rumore. Pertanto si prevedevano divieti di circolazione dei natanti a motore nelle ore notturne, obblighi di dotazione di silenziatori per il contenimento del rumore entro 85 decibel a sette metri, divieto di impiego di segnalatori acustici di intensità elevata.

Il Consiglio comunale, il 21 luglio  1972, approvava un documento di “Orientamenti dell’amministrazione comunale in materia di assetto del territorio” dove, per quanto riguarda il centro storico, si intendeva riorganizzare e razionalizzare il traffico acqueo nei canali interni, non attraverso l’apertura di nuove vie d’acqua, ma invece attraverso una serie di sensi unici, divieti di stazio e percorsi preferenziali per classi di veicoli acquei, al fine di evitare intasamenti e permettere l’accessibilità di ogni parte del territorio cittadino al traffico merci. Successivamente fu rimessa ad un gruppo di lavoro di estrazione universitaria l’analisi della rete della viabilità
acquea al fine di trovare alcune soluzioni. Le soluzioni proposte: veniva vietato solo ai taxi acquei, ritenuti di minor importanza sociale poiché rivolti essenzialmente alla clientela turistica.

Il 18 agosto 1986, veniva nominata dal Comune di Venezia una “Commissione di tecnici per lo studio del moto ondoso”. La Commissione, composta da qualificati rappresentanti del mondo istituzionale, scientifico e associativo, aveva il compito di definire le caratteristiche dei natanti per contenere gli effetti del moto ondoso, o studio alternativo agli attuali metodi di propulsione dei natanti per la transitabilità con il minimo moto ondoso, un nuovo regolamento di circolazione acquea (sensi unici), la proposta di una normativa atta all’adeguamento degli scafi e dei motori finalizzata alla salvaguardia della città di Venezia e della sua laguna. Di provvedere alla completa rilevazione del numero e delle tipologie delle imbarcazioni in attività, in riferimento al centro storico e laguna, con lo scopo di redigere un nuovo regolamento per il traffico acqueo anche in rapporto all’istituzione di “zone blu” con notevoli limitazioni del traffico motorizzato. Proponeva che la nuova Legge Speciale prevedesse norme per la navigazione in laguna e nei canali interni e norme concernenti le caratteristiche degli scafi e dei motori di tutti i natanti a propulsione meccanica naviganti nelle acque della laguna di Venezia. Si chiedevano pure contributi finalizzati alle trasformazioni dei natanti, necessari per l’adeguamento alla nuova normativa e di affidare al C.N.R. il coordinamento delle iniziative per lo studio di nuovi mezzi da utilizzare per i vari servizi pubblici e da suggerire all’iniziativa privata. La Commissione, in attesa della specifica normativa nazionale, proponeva di verificare la validità degli attuali limiti di velocità attraverso una sperimentazione da effettuare sui tipi più significativi di natanti circolanti in Venezia.

La risposta dell’Amministrazione comunale consisteva nell’emanazione dell’ordinanza sindacale del 14 dicembre 1991, n. 156042 a firma dell’Assessore ai Trasporti, il democristiano Mario Stefani, che attuava la nuova “Regolamentazione del traffico acqueo nei rii e canali di Venezia”. Il fine dell’ordinanza era sia diminuire le conseguenze del moto ondoso sui palazzi e sulle rive di Venezia, sia decongestionare il traffico in Canal Grande e nel sestiere di S. Marco. L’ordinanza prendeva in considerazione parte dei risultati di lavoro della Commissione sul moto ondoso, istituiva infatti dei “percorsi blu”, transitabili solo con natanti a remi, nell’area centrale del Centro storico, stabiliva degli orari per il transito in Canal Grande dei mezzi ACTV, dei motoscafi degli Enti, dei natanti del servizio pubblico non di linea (taxi acquei), dei motoscafi di uso privato di trasporto persone, dei natanti di trasporto merci, dei natanti da diporto fino a un massimo di 5 tonn.. Venivano, inoltre, stabiliti i limiti di velocità per natanti e navi a motore. Il servizio pubblico ACTV doveva rispettare gli 11 Km/h nel Canal Grande e in Canal Grande di Murano, i 5 Km/h nel Canale di Cannaregio, Canale del Casinò di Lido,
Canale dell’Arsenale, Rio Nuovo e Ca’ Foscari. I Taxi acquei e i mezzi degli Enti dovevano rispettare i 7 Km/h nel Canal Grande e nel Canal Grande di Murano, 5 Km/h nei restanti rii. Tutti gli altri natanti a motore i 5 Km/h nei canali di competenza comunale. Venivano istituiti dei sensi unici nei principali rii della città e la transitabilità degli stessi era subordinata alla stazza e alla caratteristica del natante. Era possibile però, per esigenze inerenti alle attività economiche in Centro storico, richiedere delle autorizzazioni per transitare comunque nei canali, autorizzazioni rilasciate dal Sindaco in deroga a quanto determinato dal regolamento. Le gondole, in servizio di “parada” nei vari traghetti, avevano in Canal Grande la precedenza rispetto ai natanti a motore.
Con la collaborazione dell’ing. Canestrelli e dell’arch. Nadali veniva effettuato uno studio di fattibilità, completo di indagini e sperimentazioni sul campo, diretto al controllo, mediante sistemi automatici, della velocità dei natanti in movimento in laguna e in città, partendo dalla individuazione della posizione del natante stesso attraverso i più moderni sistemi di rilevazione disponibili. La sperimentazione, curata dalla ditta Radax di Chioggia, partiva dalla considerazione che il fenomeno del degrado dei canali e delle rive fosse dovuto ad un insieme di fattori quali il moto ondoso, le correnti indotte dalle eliche, le vibrazioni dei motori e da tutti i vari fenomeni di risonanza e turbolenza che si sviluppano all’interno dei canali di varia dimensione e grandezza. La risoluzione del problema del controllo della velocità era comunque considerato un aspetto prioritario. Pertanto venivano sperimentati tre sistemi per rilevare la posizione del natante e quindi determinare la velocità rispetto a terra: Loran, Sistema Iperbolico ad Alta Frequenza e il più attuale Global Positioning System (GPS).

Il 22/23 dicembre 1994, il Consiglio Comunale di Venezia approvava il Regolamento comunale in attuazione alla Legge Regionale n. 63/93, “Norme per l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di servizi di trasporto non di linea nelle acque di navigazione interna nella città di Venezia” che, dopo vari passaggi istituzionali, diventerà esecutivo solo nel gennaio del 1996. Questo regolamento era importante in quanto il trasporto pubblico non di linea, ovvero topi da trasporto e taxi compresi i Granturismo, è sicuramente fra i principali imputati per i danni causati dal fenomeno del moto ondoso. In realtà, dopo la sua entrata in vigore, gran parte delle norme considerate “anti moto ondoso” non sono state applicate. L’art. 12 prevedeva che tutti i natanti autorizzati al servizio di taxi installassero e mettessero bene in evidenza per l’utenza il tassametro a tempo, cosa raramente avvenuta. La turnazione ai pontili comunali, il cui scopo era quello di creare le condizioni per un vero servizio di taxi con pontili pubblici ben distinti e riconoscibili e presidiati da un numero di mezzi sufficiente alle esigenze della città, che secondo il regolamento era perentoriamente obbligatoria entro 60 giorni dalla entrata in vigore dello stesso, ha avuto invece una serie continua di proroghe. Le caratteristiche distintive delle barche e dei pontili riservati al servizio di taxi, come prevede l’art. 10, non sono state introdotte. Gli art. 25 e 26 prevedevano una Commissione di Disciplina che doveva autorizzare, ritirare, sospendere, le licenze non solo per decadenza ma pure per ripetute violazioni del regolamento, ma, per varie vicissitudini, si è sempre riunita raramente e, ad esempio, nel 1999 si è riunita solo a marzo, controllando in tutto otto verbali. L’importante art. 36 definiva tempi e scadenze per la riduzione delle potenze dei motori e la determinazione di nuovi parametri tecnici delle imbarcazioni. Si stabiliva che, entro tre anni dall’entrata in vigore del regolamento, i taxi dovessero ridurre le potenze dei motori a 100 Cv (oggi alcuni sfiorano i 300 Cv) mentre i Gran turismo a 150 Cv. Per i topi da trasporto il Comune entro un anno avrebbe dovuto determinare le potenze dei motori in modo da garantire la massima velocità consentita e il transito anche in presenza di condizioni meteorologiche avverse. Entro tre anni poi i motori avrebbero dovuto essere adeguati alle nuove potenze. Entro il 1997, il Comune doveva pure individuare un sistema di controllo della velocità di cui tutti i mezzi normati dal regolamento dovevano dotarsi obbligatoriamente a proprie spese. Anche tutte queste norme sono rimaste lettera morta. Sempre entro il 1997 si doveva individuare precisamente “un protocollo tecnico costruttivo che risponda ai requisiti previsti dal L.C.A. (valutazione Ciclo di Vita), che minimizzi, con indicazioni circa i materiali di costruzione, le forme, le dimensioni e i propulsori dei natanti, l’impatto ambientale complessivo degli stessi in relazione all’inquinamento gassoso, acustico
ed idrodinamico, rispettando la curva di resistenza residua definita dalla Commissione Comunale Moto Ondoso”. Tale protocollo non è mai stato emanato, probabilmente perché forse nessuno è mai riuscito a comprenderne il significato. Infine, entro l’ottobre del 1995, il Comune doveva definire un protocollo per certificare la curva di resistenza residua delle barche - un parametro che misura la produzione del treno d’onda - in modo tale che in quattro anni potessero circolare solo imbarcazioni rispettose dell’ambiente e del tessuto urbano. Anche questa indicazione è andata disattesa.

Ancora, il progetto preliminare del piano per il riordino del traffico acqueo del Centro Storico di
Venezia veniva reso pubblico agli inizi del 1997, definitivamente votato dal Consiglio Comunale di Venezia nel luglio dello stesso anno. Elaborato dall’Ufficio Traffico e Spazi Acquei del Comune e dal COSES, aveva come priorità il fatto di essere finalizzato prevalentemente alla salvaguardia della città, sia dal punto di vista della sua tutela fisica che dal punto di vista della necessità di sviluppare in forme compatibili le attività che in essa si svolgevano.
Proponeva l’introduzione di un sistema di identificazione dei natanti non immatricolati, che spesso riescono a sfuggire ai controlli per la loro irriconoscibilità. Il Piano aveva studiato l’introduzione di una apposita targa da assegnare a ogni concessionario di spazio acqueo in ambito comunale, ma la cosa non è mai stata eseguita. Il Piano aveva fissato pure le larghezze ammissibili per ogni rio, stabilendo che comunque nei canali di collegamento (Noale, Santi Apostoli, Greci e San Lorenzo, Pietà, San Pietro, San Vio, San Trovaso) e nella rete dei rii interni (praticamente tutti) non potessero entrare barche più larghe di 2.40 metri. Tutte le Ordinanze successive però hanno ignorato questa disposizione e hanno mantenuto in numerosi rii il limite di 2.80 metri. Il Piano comunale prevedeva, per il controllo della velocità dei natanti, anche l’utilizzo del sistema satellitare GPS da installare almeno sui mezzi di trasporto pubblico non di linea e, laddove non fosse sufficiente la copertura del segnale nei rii più interni, l’installazione di telecamere ad inseguimento di immagine, particolarmente necessarie in Canal Grande e nei rii principali e più trafficati. Anche questo provvedimento è stato solo recentemente applicato parzialmente per i mezzi pubblici dell’ACTV e telecamere (progetto Argo) da pochi giorni sono in funzione monitorando solo il Canal Grande.
Ancora, per quanto riguarda i controlli, si prevedevano delle stazioni fisse di controllo in alcune zone strategiche di transito come in punta della Dogana, a Piazzale Roma, nel Rio Novo riaperto al traffico nel 1997 dopo sei anni di chiusura, alle Fondamente
Nuove e nel canale di San Piero. I gabbiotti per i vigili della sezione canali, sono stati costruiti ma mai realmente usati e spesso bruciati da atti vandalici. Infine, degno di nota era il provvedimento che introduceva il minitaxi, prototipo che, secondo l’Amministrazione comunale, doveva risolvere i problemi legati al moto ondoso causato per l’appunto dagli attuali taxi acquei.  L’Amministrazione comunale di Venezia, nel 1995, aveva chiesto all’Università di Trieste, il D.I.N.M.A. (Dipartimento Ingegneria Navale Mare e Ambiente), di realizzare una nuova imbarcazione per la città di Venezia da utilizzare per il trasporto pubblico non di linea. Le caratteristiche principali di questa imbarcazione dovevano essere: trasportabilità massima 4-5 persone più bagaglio, dimensioni contenute (lunghezza, larghezza e immersione) per consentire il transito in rii minori anche in condizioni di bassa marea, inquinamento idrodinamico (moto ondoso) di entità contenuta, sia alle basse velocità limite del Centro Storico, sia alle più alte velocità consentite in laguna; il progetto doveva essere redatto nel rispetto delle tradizioni tecniche costruttive in uso nella città di Venezia e doveva prevedere materiali e linee costruttive di tipo tradizionale. Il prototipo doveva inoltre prendere in considerazione le indicazioni tecniche formulate dalla Commissione per il Moto Ondoso per quanto riguardava il grado di resistenza residua e il limite di potenza dell’apparato propulsore e, per quanto possibile, in generale il prototipo doveva essere rispettoso dell’art. 36 del Regolamento comunale di attuazione della Legge Regionale 63/93. Il risultato del lavoro era la costruzione di M.A.R.C.O. (Motoscafo Ambientale Ridotta Creazione Ondosa), imbarcazione progettata inizialmente con un particolare tipo di carena e successivamente modificata per seguire appunto le tradizionali tecniche costruttive della cantieristica veneziana. Tale “M.A.R.C.O.” non ha mai solcato le acque lagunari.

Nel 1999, pure l’ACTV annunciava un programma di rinnovamento del proprio parco mezzi
con una particolare attenzione riservata ai problemi di inquinamento idrodinamico. Dopo
la presentazione agli inizi dell’anno del prototipo, formato taxi, denominato “mangiaonde”
dell’americano Charles Robinson, l’ACTV firmava un contratto con il cantiere Knight &
Carver a San Diego per un vaporetto mangiaonde lungo 20 metri, largo 6, dotato di due
motori posteriori di 200 cavalli e di 150 o 120 posti a sedere. Assieme al vaporetto, arriveranno
a Venezia anche il progetto e lo stampo dello scafo per essere così riprodotto con
facilità. Il tutto costerà all’ACTV circa 450 mila dollari, ovvero 900 milioni di vecchie lire, lo stesso
prezzo di un vaporetto normale. Sempre in quest’ultimo anno l’ACTV inaugurava un nuovo
motobattello, il “Ruggero G.”, una via di mezzo tra i vecchi battelli foranei con cabina e le
motonavi di stazza ridotta. Più stabile e più silenzioso dei vecchi modelli, il motobattello
costruito presso i cantieri De Poli di Pellestrina, andava ad arricchire il nuovo parco mezzi
dell’Azienda municipale. Si chiamava invece “Sandra Z.” la nuova motonave della flotta
ACTV, costruita sempre dai cantieri De Poli, in grado di trasportare 1200 persone, attrezzata
con un motore Schottel, con nuove soluzioni per la propulsione, i camini e la carena, per
diminuire il moto ondoso, l’inquinamento acustico e gli scarichi. Oggi la povera “Sandra Z” è diventata un deposito dell’ACTV, derisa pure da una nota trasmissione televisiva.

Sempre l’ACTV presentava nel dicembre 1999 il prototipo LIUTO (Low Impact Urban Transport water Omnibus), un vaporetto “ecologico”. Il progetto era finanziato dal programma Brite-Euram della Comunità Europea con la partecipazione di sei partners appartenenti a tre differenti paesi europei.
L’obiettivo finale del programma era il disegno e la costruzione di imbarcazioni per il trasporto
passeggeri con un materiale innovativo in vetroresina, aventi una bassa generazione
di onde, ridotti effetti di turbolenza dell’elica e basso consumo di energia. Liuto rispondeva
a questi requisiti e la collaborazione con imprese come la Montedison e l’Ansaldo, il
Dipartimento di Ingegneria Navale dell’Università di Napoli e gli olandesi della Marin, permetteva
al nuovo vaporetto di essere più manovrabile e in grado di provocare un’onda
ridotta sull’acqua, con una riduzione del 30 per cento del moto ondoso. Liuto poteva contare
su un propulsore con pale in fibra di carbonio, prodotto dalla tedesca Schottel e dalla
Sva. Il motore era diesel ed elettrico. Anche questo progetto non trovava alcun seguito.

Il Consiglio Provinciale di Venezia con deliberazione del 25 giugno 1998, parzialmente
annullata dal Co.Re.Co., successivamente modificata con deliberazione del
Consiglio Provinciale del 29 aprile 1999, emanava il “Regolamento Provinciale per il
Coordinamento della Navigazione Locale nella Laguna Veneta”.
Il regolamento introduceva nuovi sistemi di rilevazione e gestione del traffico, dai contrassegni
di identificazione per i natanti non iscritti, al monitoraggio satellitare dei mezzi nautici
ai fini del controllo del traffico e del moto ondoso, dalla limitazione delle emissioni inquinanti,
del rumore e delle cilindrate dei motori, all’introduzione di limiti alla velocità e alla
navigazione, dalla creazione di archivi informatizzati per la valutazione della consistenza dei
natanti in circolazione, all’evoluzione e alle indicazioni sulle tipologie della flotta navigante
abitualmente in laguna. Il regolamento disciplinava pure il servizio pubblico non di linea
per trasporto persone, i servizi di trasporto specifici di persone per conto terzi, il servizio
pubblico di linea per trasporto di persone e cose.

Successivamente, l’attuale Vicesindaco Michele Vianello annunciava in una conferenza stampa l’imminente presentazione del nuovo piano del traffico che intendeva proporre una drastica riduzione degli accessi alla città attraverso i rii di attraversamento. Pochi giorni dopo, veniva resa pubblica l’elaborazione degli uffici comunali “Proposte per la riorganizzazione e il controllo del traffico acqueo nella città di Venezia e nella sua laguna”.
Il Piano comunale per affrontare questa emergenza del traffico acqueo si divideva in due
distinte fasi.
La prima fase prevedeva la necessità di preservare i rii interni dal traffico di attraversamen-
to soprattutto il rio di Noale, San Pietro di Castello, Cannaregio e Tana. Bisognava pertanto
deviare e allontanare i flussi provenienti da nord, prevalentemente taxi e Gran turismo,
attraverso il divieto d’accesso in entrata nei rii di Noale, di San Felice, di San Pietro/Giardini,
di Quintavalle. Per chi arrivava dall’aeroporto il percorso obbligatorio era attraversare il rio
dei Marani e Sant’Elena, oppure il rio di Cannaregio. Senso unico, in uscita, in rio di Noale,
rio della Tana e in rio di San Giuseppe, ingresso vietato a San Felice. Vi era pure il divieto
nel tratto Casinò-Santa Maria Elisabetta al Lido e alla Giudecca per chi arrivava da Fusina. I
Gran turismo non potevano più percorrere il rio di Cannaregio. Il principio era quello che
nella Città Storica si doveva uscire agevolmente, ma entrare attraverso percorsi più lunghi.
Erano previste postazioni fisse di vigilanza, in ingresso da nord, nei rii di Cannaregio, di
Noale, Novo e alla Salute, più tre postazioni in barca a San Pietro di Castello, Fondamente
Nuove, San Marco. Veniva reintrodotto il semaforo all’incrocio con il Malcanton in rio Novo
e rideterminati i criteri di autorizzazione al transito in Canal Grande (da stazza lorda a portata
persone). Questi primi provvedimenti venivano discussi dal Comune con i rispettivi
Consigli di Quartiere, con le varie categorie e con le associazioni sportive e ambientaliste.
La seconda fase prevedeva un nuovo regolamento (scafi, potenze, dimensioni) e lo studio
del tracciato di un nuovo percorso per gli arrivi da Tessera. Il Comune infatti prevedeva di
aprire un terminal nell’area dell’ex Gasometro a San Francesco della Vigna, arretrare
dall’Area Marciana e Santa Maria della Pietà i Gran turismo e le altre tipologie di imbarcazioni.
Sempre in questa seconda fase, l’Amministrazione comunale voleva programmare e
regolamentare gli arrivi delle imbarcazioni di trasporto turistiche provenienti da altri
Comuni marittimi (Cavallino, Chioggia, Caorle, Jesolo, Lignano, Grado) e sperimentare gli
autovelox acquei, affidati agli stazi dei gondolieri per evitare vandalismi e manomissioni. I
vari provvedimenti, secondo Vianello, erano legati nella loro applicazione ad una serie di
convenzioni da stipulare con le varie autorità competenti. Ottimisticamente, il Vicesindaco
prevedeva una possibile data di applicazione dei provvedimenti della seconda fase entro l’inizio
del 2001. Il piano infine prevedeva anche un riordino dei posti barca nei rii. Venivano
attrezzate le nuove darsene alla Celestia, alla Misericordia e al Tronchetto (per barche da
lavoro); vi era pure la riorganizzazione degli spazi e specchi acquei di rio di S. Pietro e
Giardini a Castello nonché la realizzazione di stazioni fisse di polizia municipale. Non se né fatto nulla, nemmeno di questo. Poi nel presente, è arrivata l’era dei Commissari straordinari di cui ne parliamo in altri articoli di questo speciale, ma purtroppo non si è ancora riusciti a passare da una fase “emergenziale” nella lotta la moto ondoso, a una fase “ordinaria” e “gestionale”. Il risultato finale è sotto gli occhi di tutti.

Ultimo aggiornamento ( Lunedì 30 Marzo 2009 15:23 )

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