Home Articoli responsabili 2002 Il metano in Alto Adriatico

Il metano in Alto Adriatico

Uscito sul periodico Nexus nel gennaio 2002

Di fronte al nuovo possibile sfruttamento dei giacimenti di metano presenti nell’Alto Adriatico, ipotesi prevista dal nuovo Piano energetico del Ministero dell’Industria, e di fronte alle relative nuove polemiche e preoccupazioni da parte delle comunità locali, è forse opportuno fare il punto della situazione partendo da un indispensabile riassunto di quanto accaduto dal momento della presentazione da parte dell’Agip del progetto di coltivazione di gas metano in 15 giacimenti, chiamati “campi”, sparsi tra 6 (giacimento “Chioggia Mare”) e 39 chilometri al largo delle coste venete.
La proposta avanzata dall’Agip aveva trovato da subito la netta contrarietà di tutte le comunità locali (Venezia, Chioggia, Polesine) che erano, e sono, consapevoli della fragilità del loro territorio che, specialmente dal punto di vista altimetrico, non può più sopportare alcun cedimento dovuto al fenomeno della subsidenza. Nel maggio 1997 vari Consigli Comunali, studiosi, associazioni professionali, hanno espresso la loro contrarietà nel dare il via libera alla coltivazione dei giacimenti motivando il proprio rifiuto nella insufficienza dei dati forniti dall’Agip, tali da non consentire, con particolari modelli matematici adottati, la certificazione dell’inesistenza di effetti di subsidenza lungo le coste (cosa che costituisce la condizione prevista dalla legge speciale n. 206/96 per poter acconsentire alla coltivazione). Oltre a questo importante aspetto vi erano altre motivazioni di carattere scientifico che, seppur di pari importanza, tralasciamo per motivi di spazio. Nel giugno 1997 il Ministero dell’Ambiente e la Regione del Veneto, attraverso un documento d’intesa, in seguito a degli studi compiuti da un gruppo di esperti, riconoscevano che allo stato attuale non erano “in grado di escludere che i progetti e le attività di coltivazioni di idrocarburi liquidi e gassosi…possano contribuire a provocare fenomeni di subsidenza”. Questo poteva bastare, ai sensi della citata legge 206/96, per vietare la coltivazione ma invece venivano chiesti ulteriori nuovi approfondimenti. Nemmeno i nuovi studi scioglievano i molti dubbi poiché il 29 ottobre 1998 la Commissione nazionale per la Valutazione di Impatto Ambientale nel suo parere riteneva “non dimostrata la compatibilità ambientale”del progetto “sia per quanto riguarda prioritariamente la subsidenza, sia per quanto riguarda gli effetti complessivi sull’ambiente”, escludendo definitivamente ogni ipotesi di coltivazione per il Campo Chioggia Mare, a 5,5 chilometri dalla costa, e ponendo severe restrizioni cautelative (applicazione di nuovi modelli per la simulazione della subsidenza, monitoraggi continui ecc…) per un eventuale inizio sperimentale delle coltivazioni situate nei campi più lontani. Nel luglio 1999 la Giunta Regionale del Veneto, recependo il parere della Commissione tecnica regionale ambiente, confermava le conclusioni della Commissione Nazionale VIA. Il 5 dicembre 1999 veniva firmato il cosiddetto Decreto Ronchi che, d’intesa con la Regione Veneto, puntualmente prevedeva:
• il divieto di ogni coltivazione entro le 12 miglia nautiche dalle coste venete;
• che eventualmente si autorizzasse la coltivazione dei giacimenti più distanti dalla costa in via sperimentale e con la definizione di una rete di monitoraggio del fenomeno di subsidenza;
• l’ulteriore coltivazione di altri giacimenti veniva condizionata ai risultati osservati nella prima fase di sperimentazione di cui sopra e i meccanismi di cautele introdotti - ricordati nelle righe precedenti - apparivano adeguati;
• l’interruzione delle attività di coltivazione qualora si registrasse in corrispondenza al limite delle 6 miglia nautiche un fenomeno di subsidenza di più di un cm. in dieci anni, con l’obbligo in ogni caso di continuare il monitoraggio per l’intera durata di coltivazione dei giacimenti e per almeno i dieci anni successivi.
Successivamente, la stessa AGIP aveva presentato un ricorso, per altro respinto, contro lo stesso Decreto.
Questo riassunto delle vicende legate alle trivellazioni dell’AGIP nell’Alto Adriatico permette di intravedere alcune risposte alle nuove preoccupazioni che sorgono all’indomani della nuova ventilata ipotesi di sfruttamento, attraverso il progetto “Valentina”, dei giacimenti di idrocarburi al largo delle coste venete malgrado appunto i responsi scientifici e giuridici appena elencati.
Considerando ormai scontato che l’opinione pubblica sia informata dei danni che la subsidenza causerebbe nei territori di Venezia, Chioggia e delta polesano e avendo lo stesso mondo scientifico dimostrato la contrarietà a tali coltivazioni, non resta che riprendere nuovamente su tale vicenda il percorso politico della mobilitazione, come già avvenuto nel 1997, da parte delle comunità locali e non solo. Comunque restano, a mio avviso, due strade da percorrere, da un lato richiedere agli Enti locali, in primis alla Regione Veneto, di non siglare alcuna intesa per l’inizio sperimentale delle coltivazioni in quanto l’AGIP non ha mai presentato tutte quelle “cautele” richieste dal Ministero dell’Ambiente e dallo stesso Decreto Ronchi, dall’altro insistere con forza affinché la proposta di legge del Senatore Sarto per il divieto di coltivazione di giacimenti di idrocarburi nell’area antistante la costa veneta venga approvata in tempi brevi anche in quanto un siffatto divieto esiste già per il golfo di Napoli.

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