Intervento uscito su TERRA NORDEST 13 aprile 2010

Finalmente quasi fuori tempo massimo, fra un generale disinteresse dei principali mass media, il Governo ha ratificato il decreto per vietare la coltivazione di Ogm in Italia presentato dall’ormai ex ministro e attuale Presidente del Veneto, Luca Zaia. E’ un atto legislativo importante che ribadisce la scelta di un modello di sviluppo agroalimentare sostenibile e libero dagli Organismi Geneticamente Modificati.

Il ritardo da parte del Governo aveva destato non poche preoccupazioni nella consapevolezza diffusa che una parte dell’esecutivo sul tema degli Ogm non la pensa come il leghista Zaia. Ma due sono gli aspetti sui quali vorrei soffermarmi. Il primo riguarda il timore che comunque la partita nel nostro paese sugli Ogm non sia ancora chiusa. Il segretario di Futuragra Giorgio Fidenato ha confermato la “disobbedienza” in merito e che quindi a Vivaro, nella provincia di Pordenone, farà una semina dimostrativa Ogm e userà tutti gli strumenti legali per garantire la sua semina transgenica. Decisione presa proprio quando una coalizione di 55 diverse organizzazioni friulane in rappresentanza del mondo agricolo, del mondo sociale, del volontariato e del mondo ambientalista,  ha presentato pochi giorni fa in una conferenza stampa a Udine una proposta di legge contro le coltivazione transgenica in Friuli Venezia Giulia e per la difesa della biodiversità, proposta consegnata all’assessore regionale Claudio Violino e ai capigruppo regionali. Una proposta “dal basso” che ha nella condivisione e nella trasversalità una forza ed energia che potrebbe rilevarsi vincente. Quella forza ed energia che ha visto nel Veneto la rinascita della Coalizione Liberi dagli Ogm proposta dalla Coldiretti e dai Vas o ancora in tutto il triveneto la mobilitazione di decine di organizzazioni e forum pubblici contro la privatizzazione dell’acqua: mobilitazione che ha portato migliaia di cittadini ad invadere le strade di Roma poche settimane fa con una bellissima manifestazione e che porterà centinaia di militanti anche nei nostri territori a raccogliere le firme per un referendum contro la privatizzazione di questo bene comune a partire dal 24 aprile. E qui veniamo al secondo aspetto che volevo trattare. Oggi, anche alla luce dei recenti risultati elettorali nazionali e regionali, quel variegato mondo così diffuso e frammentato che una volta veniva chiamato arcipelago ecologista, che potrebbe capitalizzare, in forme diverse, queste energie e capacità di unione verso obiettivi condivisi e trasversali, si è presentato diviso e spesso ignorato dall’informazione pubblica. Decine di gruppi, movimenti, associazioni e comitati vari sono stati a guardare, magari non sono andati a votare o hanno votato le liste di Grillo e, assai pochi, Sel o i verdi nuovamente presenti con il sole che ride. Appare evidente che se si vuole catturare queste forze anche nuove provenienti dal territorio o dal “basso” capaci di agire trasversalmente nei  grandi temi ambientali, bisogna che quel che resta dell’ecologismo in politica  superi divisioni e contraddizioni lavorando per raggiungere un nuovo modello politico aperto, trasversale e costituente.